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OnlyFans – Andrea Labate: words on screen

Tag: OnlyFans

  • Deontologia di OnlyFans: Nascita, Evoluzione e Possibili Futuri

    Introduzione

    C’era una volta il pudore. Oggi viviamo in tempi in cui la mercificazione del corpo e dell’intimità è all’ordine del giorno, intrecciata con la digitalizzazione delle relazioni umane e la trasformazione del lavoro nell’era dell’attenzione. Nell’arena dei social media, l’occhio del pubblico è valuta sonante e anche l’anima più ritrosa può essere tentata di convertirsi in spettacolo a pagamento. Siamo tutti un po’ protagonisti e un po’ voyeur in questo grande teatro online: un contesto che farebbe sorridere perfino gli autori di Black Mirror per quanto supera la loro fantasia distopica.

    «Non siamo più nel dramma dell’alienazione, siamo nell’estasi della comunicazione» (Azioni Parallele – Finzione, al di là di vero e falso: la sfida teorica di Jean Baudrillard), scriveva Jean Baudrillard già negli anni ’80. Aveva ragione: oggi l’individuo non è più un semplice ingranaggio alienato di una macchina industriale, ma un nodo esultante (e stremato) di reti sociali perennemente connesse. In questa ecstasy of communication permanente, tutto diventa contenuto condivisibile: dal cappuccino decorato di questa mattina fino alle foto più private vendute in abbonamento mensile. Se il medium è il messaggio (Marshall McLuhan – Wikiquote), come profetizzò Marshall McLuhan, allora piattaforme come OnlyFans rappresentano un messaggio chiaro: nell’economia digitale dell’attenzione, anche l’intimità diventa intrattenimento monetizzabile.

    Con ironia tagliente e una punta di inquietudine, possiamo dire che il XXI secolo ha realizzato un paradosso: la promessa di 15 minuti di celebrità per tutti profetizzata da Andy Warhol si è trasformata nella realtà di 24 ore su 24 di visibilità per chiunque lo desideri – al giusto prezzo. Ecco che entra in scena OnlyFans, fenomeno emblematico dei nostri tempi moderni. Ma come siamo arrivati a questo punto? E quali traiettorie etiche e sociali si delineano all’orizzonte? Prima di immaginare i possibili futuri (magari non troppo lontani da un episodio di Black Mirror), ripercorriamo la nascita e l’evoluzione di questa piattaforma che mette in vetrina il concetto stesso di privato.

    Nascita di OnlyFans: dal Privato al Pubblico (a Pagamento)

    OnlyFans nasce nel 2016 nel Regno Unito come piattaforma di social media basata su abbonamento. L’idea di fondo è semplice e dirompente: permettere a chiunque di diventare imprenditore di se stesso, vendendo contenuti direttamente ai propri “fan” paganti, senza intermediari. In un’epoca in cui “noi diamo forma ai nostri strumenti e poi i nostri strumenti danno forma a noi”(per dirla con McLuhan), una piattaforma del genere non poteva che plasmare nuovi comportamenti. OnlyFans inizialmente era usata da personal trainer, musicisti, creator di vario genere per offrire contenuti esclusivi, ma ben presto ha trovato il suo vero motore economico nell’industria dei contenuti per adulti. In parole povere, la maggior parte degli utenti ha scoperto OnlyFans come il luogo dove modelle, modelli, sex worker e perfino girl next door della porta accanto condividevano foto e video intimi in cambio di denaro.

    La mercificazione del corpo non è certo un’invenzione moderna – basti pensare alle opere di arte rinascimentale finanziate da mecenati, o al più antico mestiere del mondo. La differenza è che oggi il mecenatismo è diventato diffuso e democratico: chiunque può finanziarci, basta un clic e la propria carta di credito. OnlyFans porta alle estreme conseguenze la logica del selfie e dell’auto-rappresentazione: se su Instagram mostriamo il nostro lato migliore in cambio di like, su OnlyFans lo mostriamo in cambio di euro sonanti. È la trasformazione del privato in pubblico a pagamento, la vita personale che diventa servizio on-demand. Un fenomeno figlio della gig economy e dell’economia dei creator, dove la distinzione tra lavoro e vita privata si fa labile. Qui il lavoro consiste nell’attirare attenzione – e convertire attenzione in denaro.

    Michel Foucault potrebbe vedere in OnlyFans un’evoluzione curiosa dei meccanismi di potere: se una volta erano le istituzioni a sorvegliare i corpi, ora sono gli individui a esporre volontariamente sé stessi al controllo diffuso dello sguardo altrui, in cerca di approvazione e profitto. “La visibilità è una trappola” (La paura del potere: biopolitica e totalitarismi nell’indagine di Michel Foucault e Hannah Arendt | now.here) avvertiva Foucault descrivendo il Panopticon; su OnlyFans questa trappola diventa volontaria, patinata e persino celebrata. Il Grande Fratello non ci osserva dall’alto: siamo noi stessi ad accendere la webcam e a entrare nella torre di guardia, consegnandoci agli sguardi plurimi del pubblico pagante. In un ribaltamento quasi ironico, essere visti diventa sinonimo di potere (economico), ma al tempo stesso espone a nuovi tipi di vulnerabilità psicologiche e sociali.

    Evoluzione: dalla Libertà alla Hyper-Realtà

    Nei suoi primi anni, OnlyFans si è evoluta da nicchia underground a fenomeno mainstream della cultura digitale. La pandemia di COVID-19, con i lockdown e la crisi economica, ha spinto molte persone – da lavoratrici del sesso professioniste rimaste senza venue fisiche, a studenti e creator improvvisati – a tentare la fortuna sulla piattaforma. Il risultato? Una crescita esplosiva di contenuti e guadagni (per alcuni). OnlyFans è passata sulla bocca di tutti, dividendo l’opinione pubblica: c’è chi la celebra come strumento di emancipazione economica e sessuale, e chi la demonizza come ennesimo segno della decadenza morale moderna.

    Dal punto di vista sociologico, la piattaforma incarna perfettamente alcune tendenze chiave della nostra epoca. Viviamo in una società della prestazione e dello spettacolo in cui esserci e mostrarsi è diventato un imperativo. Guy Debord già nel 1967 parlava di una società in cui tutto diventa rappresentazione scenica, anticipando un mondo in cui l’esperienza reale lascia il posto alla rappresentazione di sé. Jean Baudrillard farebbe forse un passo ulteriore: OnlyFans potrebbe essere visto come parte di quella iperrealtà in cui il confine tra vero e falso svanisce, sostituito da simulazioni di desiderio confezionate per un pubblico. L’intimità che scorre su OnlyFans è al tempo stesso autentica (perché coinvolge persone reali, con corpi reali) e simulata (perché spesso costruita ad arte per soddisfare aspettative, fantasie e algoritmi). È un gioco di seduzione reciproca dove creatore e spettatore alimentano insieme l’illusione: uno vende l’idea di sé che l’altro vuole comprare.

    Non mancano i risvolti di dark humor in tutto ciò. Pensiamo alla figura del fan pagante: un tempo la parola “fan” evocava l’idea di ammiratori sfegatati di rockstar o attori, oggi indica anche chi sottoscrive un abbonamento mensile per vedere foto private di una persona qualsiasi. È la democratizzazione (o forse la banalizzazione) del concetto di fandom. Allo stesso modo, il termine “creator” si applica tanto al videomaker su YouTube quanto a chi posta selfie osé su OnlyFans: i confini tra creatività artistica e imprenditoria del proprio corpo si assottigliano. Viene da chiedersi con ironia se in futuro inseriremo nel CV competenze come “gestione community di abbonati” o “brand personale NSFW”. Del resto, “il consumatore è un lavoratore che non sa di lavorare”, diceva Baudrillard, e su OnlyFans i consumatori/lavoratori collaborano attivamente al successo dei creator, pagando, commentando, richiedendo più contenuti – alimentando la macchina senza sosta.

    Questa evoluzione ha portato anche nuove sfide etiche e di deontologia digitale. OnlyFans si regge su un equilibrio precario: da un lato offre autonomia ai creatori (che stabiliscono prezzi, cosa mostrare, quanto mostrarne), dall’altro lato dipende dalle regole imposte dai provider finanziari e dal pubblico moralismo. Emblematico il caso dell’annuncio (nell’estate 2021) di una messa al bando dei contenuti espliciti sulla piattaforma per compiacere banche e circuiti di pagamento, decisione poi ritirata dopo proteste globali. Questo episodio ha mostrato il paradosso di una piattaforma costruita sulla libertà sessuale e d’espressione, ma vulnerabile ai meccanismi di controllo esterni tipici del capitalismo digitale. Come osservava Foucault, il potere non risiede mai in un luogo solo: si infiltra nelle istituzioni, nei discorsi, nelle infrastrutture – e nel caso di OnlyFans, perfino nei termini di servizio e nelle policy bancarie.

    Possibili futuri: Verso un Mondo OnlyFans?

    Viene spontaneo domandarsi: quale futuro ci aspetta, in un mondo in cui la vita privata può diventare pay-per-view e le relazioni assomigliano a transazioni commerciali? Diversi scenari (ironici, inquietanti o magari auspicabili) si prospettano all’orizzonte:

    • Normalizzazione totale: OnlyFans e piattaforme simili potrebbero perdere la patina scandalosa e diventare parte integrante dell’economia creativa. In un futuro non troppo lontano, potremmo vedere professionisti di ogni campo – chef, artisti, insegnanti di yoga – usare abbonamenti personali per vendere esperienze dirette ai loro fan. L’intrattenimento per adulti sarebbe solo uno dei tanti settori. A quel punto, la distinzione tra social network “tradizionali” e spazi a pagamento svanirebbe: Instagram potrebbe integrare funzioni a pagamento tipo OnlyFans, e viceversa OnlyFans potrebbe cercare di ripulire la sua immagine per attirare un pubblico più ampio. In questo scenario quasi utopico (o distopico?), vendere pezzi di sé diverrebbe la norma, e la domanda etica passerebbe da “si può fare?” a “quanto chiedere?”.
    • Il lato oscuro e la saturazione: D’altro canto, la corsa all’attenzione potrebbe intensificarsi fino a raggiungere livelli estremi, portando a burnout dei creatori e saturazione del pubblico. Immaginiamo un mondo in cui sempre più persone competono per vendere intimamente sé stesse: il risultato potrebbe essere un’inflazione dell’offerta, prezzi al ribasso, e contenuti via via più estremi o bizzarri per distinguersi. Una sorta di reality show collettivo dove, per avere successo, devi continuamente alzare la posta in gioco sulla tua vita privata. In stile Black Mirror, la ricerca di approvazione potrebbe assumere forme patologiche: ranking sociali basati su quanto riveli di te, o persone disposte a rinunciare completamente alla privacy pur di scalare le classifiche di popolarità. L’ironia amara è che la libertà di monetizzarsi rischia di trasformarsi in una nuova prigione fatta di dover essere sempre online, sempre desiderabile, sempre on demand.
    • Tecnologia e simulacri: Un altro futuro possibile è segnato dall’evoluzione tecnologica. Realtà virtuale (VR) e realtà aumentata potrebbero portare OnlyFans in dimensioni ancora più immersive: sessioni virtuali con avatar realistici, fidanzate/i virtuali su abbonamento, esperienze sensoriali simulate a distanza. A un certo punto, potrebbe diventare difficile distinguere tra interazioni umane e interazioni con deepfake o intelligenze artificiali addestrate a soddisfare i desideri dell’utente. Qui la domanda “dov’è la realtà?” raggiunge il suo culmine. Incontreremmo l’estremo di ciò che Baudrillard chiamava simulazione: una situazione in cui l’iperrealtà erotica è preferibile (per convenienza o per fantasia) alla realtà stessa. Se già oggi molti preferiscono pagare per l’illusione di una compagnia virtuale anziché affrontare le complessità di relazioni reali, domani quell’illusione potrebbe essere perfezionata al punto da sembrare più autentica del vero. Un futuro inquietante, in cui il motto potrebbe diventare “Meglio l’avatar di carne che la carne e ossa”.
    • Resistenza e nuovi valori: Non è detto, però, che il futuro sarà solo un’avanzata incontrastata della monetizzazione di tutto. Ogni azione genera reazione: potremmo assistere alla nascita di movimenti culturali che rivalutano la privacy come lusso o la sobrietà digitale come segno di status (un po’ come oggi chi è davvero ricco evita i social, lasciando l’esibizionismo ai nouveaux riches digitali). In questo quadro, la vera trasgressione potrebbe tornare ad essere il non mostrarsi, il coltivare spazi segreti, intimi, offline – una sorta di “slow life” contrapposta al fast food delle esperienze online. Forse sorgeranno piattaforme etiche, cooperative, dove creatori e fan stabiliranno insieme regole del gioco più umane e meno mercificanti. Oppure tornerà in auge la vecchia idea che non tutto ha un prezzo, rifondando un’etica delle relazioni non mediate dal denaro. Come in tutte le rivoluzioni, anche in quella digitale-intima di OnlyFans potrebbe emergere una controcultura capace di decifrare il fenomeno con lucidità e ironia, svelandone i punti deboli e proponendo alternative.

    Conclusione

    La deontologia di OnlyFans – se con questa espressione intendiamo la riflessione etica sul fenomeno – è tutt’altro che semplice. Siamo davanti a un intreccio di emancipazione e alienazione, di liberazione personale e di nuove forme di sfruttamento volontario. OnlyFans incarna il zeitgeist contemporaneo: un’epoca in cui i confini tra pubblico e privato sono liquidi, in cui ognuno è imprenditore di sé stesso (nel bene e nel male), e in cui la tecnologia offre sia palcoscenici scintillanti che trappole invisibili.

    In tutto questo, serve uno sguardo critico ma anche capace di empatia. Evitare moralismi superficiali, ma al contempo non cadere in un entusiasmo ingenuo. Come moderni flâneurs digitali, possiamo aggirarci per questi boulevard virtuali osservando il circo umano con ironia sofisticata e consapevolezza. Dopotutto, “noi diventiamo ciò che vediamo” – e ciò che vediamo oggi è un mondo che trattiene lo specchio di Narciso in una mano e il listino prezzi nell’altra. Starà a noi decidere se vogliamo solo rifletterci compiaciuti, venderci al miglior offerente, o forse provare a immaginare (e costruire) un diverso equilibrio tra il nostro essere persone e il nostro essere performer nell’era digitale. In un modo o nell’altro, il dibattito rimane aperto: la deontologia di piattaforme come OnlyFans è uno specchio, a volte impietoso e a volte illuminante, di chi siamo e di chi potremmo diventare.